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La roccaforte Europa

Conclusasi la guerra lampo con la sconfitta della Battaglia d’Inghilterra, Hitler si era trovato a difendere a sua volta l’Europa continentale da eventuali attacchi. Per questo dal 1941 i tedeschi avevano iniziato un’imponente opera difensiva, il «Vallo Atlantico», che avrebbe dovuto impedire qualsiasi attacco e sbarco nelle zone assoggettate dal Reich. I schiavi e i prigionieri di guerra vennero impiegati per la realizzazione di questa “fortezza” che si sviluppava dalla Bretagna e arrivava fino alle coste dell’Olanda. L’opera difensiva venne continua­mente rinforzata e meglio protetta. In massima parte era composta da muri di cemento armato con po­stazioni di cannoni a lunga gittata. Sulle spiagge e nel mare immediatamente adiacente erano dislocate milioni di mine, cavalli di Frisia e qualsiasi altro impedimento che impedisse eventuali sbarchi anfibi e scarico di uomini. Il 19 agosto 1942 avvenne la prima operazione per ottenere una testa di ponte in territorio francese nella città settentrionale di Dieppe. Essa venne compiuta da 5.000 canadesi e da 1.000 fra commando britannici, rangers statunitensi e unità della Francia Libera, con l’appoggio di 56 squadriglie della Raf. Le truppe alleate, sbarcate nella notte, furono inchiodate nei pressi della spiaggia di ciottoli e riuscirono solo a impadronirsi di una batteria costiera. Dopo violenti combattimenti molto favorevoli ai tedeschi, i pochi superstiti alleati furono obbligati a reimbarcarsi.

La missione non risultò del tutto negativa perché permise agli Alleati di provare la difesa tedesca, che da quel momento richiese più truppe da distogliere da altri fronti. All’inizio del 1944 venne nominato comandante in capo del Gruppo d’Armata B, nonché responsabile del Vallo, Erwin Rommel, di ritorno dall’Africa e da una permanenza in ospedale. Egli, convinto di un attacco alleato proveniente dalla Manica entro la fine dell’anno, potenziò ancora di più le postazioni e i bunker della Francia settentrionale. Portò il numero delle mine da quattro a sei milioni e addestrò senza sosta le sue truppe in prossimità delle spiagge. Egli, però, anche se restava il generale preferito da Hitler doveva vedersela con il feldmaresciallo Gerd von Rundstedt, suo diretto superiore e comandante supremo dell’Occidente, che invece avrebbe voluto il grosso delle truppe nelle retrovie, per un eventuale impiego successivo, in previsione di un contrattacco diretto esclusivamente nel punto interessato allo sbarco.

 

Meeting_of_the_Supreme_Command,_Allied_Expeditionary_Force,_London,_1_February_1944_TR1631

La preparazione di Overlord

Intanto oltre la Manica, dall’inizio del 1944 già si concentrava una gran massa di soldati di tutte le nazionalità in conflitto contro l’Asse. Le forze armate degli Stati Uniti contavano più di due milioni di uomini. Le truppe iniziavano addestramenti molto impegnativi, che avrebbero garantito esperienza e rapidità sui campi di battaglia. Oltre che per gli uomini, la Gran Bretagna era anche il luogo di concentrazione di innumerevoli mezzi bellici terrestri, aerei e marittimi. Tutto doveva combaciare alla perfezione, perché il piano era già pronto dal novembre dell’anno precedente, quando i capi di governo, Churchill, Stalin e Roosevelt, si incontrarono a Teheran per organizzare il famoso «Secondo fronte», che avrebbe dovuto logorare e distogliere i tedeschi dal fronte orientale. Il primo ministro britannico era riuscito a convincere il premier sovietico a rimandare l’attacco all’Europa per la primavera del 1944, anche perché, secondo lui le controversie africane e quelle dell’Italia meridionale avrebbero impegnato notevolmente le truppe del Reich, ormai agli sgoccioli su più fronti. Stalin accettò la proposta del britannico, che incaricò Eisenhower, in collaborazione con Montgomery, di organizzare le operazioni di sbarco. A differenza di qualsiasi logica ipotesi strategica, fu scelta come zona la Normandia. La vicinanza di Dover alla Francia avrebbe fatto prevedere gli sbarchi nella zona di Calais. Per accrescere questa convinzione negli animi dei tedeschi, il comando alleato ordinò forti bombardamenti e azioni si sabotaggio in quella zona. Inoltre il generale Patton, a suo malincuore, venne promosso a comandante di carri armati gonfiabili o di legno, dislocati come diversivo nella zona inglese davanti Calais. L’unico inconveniente per l’operazione denominata «Overlord», fu il ritrovamento dei piani da parte dei tedeschi, che tuttavia vennero creduti falsi dal servizio informazioni nazista. Anche un agente albanese soprannominato “Cicero”, infiltrato nell’ambasciata britannica di Ankara, riportò le stesse informazioni, ma Berlino rimase scettica e non diede seguito a quelle preziose rivelazioni.

 

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Le fasi iniziali

Al quartier generale a King Charles Street era tutto pronto: Eisenhower ricopriva il ruolo di comandante supremo, sotto di lui c’era l’ammiraglio Ramsey e il maresciallo Leigh-Mallory, rispettivamente comandanti delle forze marittime e aeree. Il giorno fissato era il 4 giugno. La sera tra il 3 e il 4, 2.500 navi e 2.700 altri mezzi marittimi imbarcarono uomini e partirono alla volta delle spiagge normanne, ma nella Manica si presentò la più forte tempesta degli ultimi venti anni. Per questo motivo all’alba tutte le imbarcazioni vennero richiamate verso i porti inglesi. Gli uomini restarono ammassati ai moli o ancora sui mezzi marittimi, perché i loro posti nelle caserme erano già stati assegnati agli uomini della seconda ondata di invasione. La situazione si presentava tragica perché oltre all’attesa che si rivelava lunga e insopportabile, l’ammassamento di così tante truppe in zone così ristrette avrebbe potuto rivelare ai ricognitori nemici le vere intenzioni degli Al­leati. Eisenhower e Montgomery furono perplessi intorno alla decisione: accettare il tempo solo passabile ma con le caratteristiche di marea e luna necessarie del 6 oppure aspettare ancora diverse settimane. Infatti era indispensabile la bassa marea per la localizzazione delle mine marittime e la luna piena per permettere gli atterraggi notturni dei paracadutisti. Eisenhower, visto anche un leggero miglioramento del 5, si prese la re­sponsabilità e ordinò l’attacco per il giorno successivo: 6 giugno il D-Day. I suoi avversari erano assolutamente convinti che quel tempo non favorisse l’attacco; infatti sia in Africa sia in Sicilia gli americani erano sbarcati sempre con il bel tempo. Per questo il grosso dei generali si trovava ad una conferenza a Rennes, in Bretagna, e Rommel in Germania, per il compleanno della moglie e per chiedere al Führer le famose divisioni dislocate nelle retrovie, che questi negò assolutamente. La sera del 5 le navi partirono di nuovo e con loro si alzarono anche i primi aerei e alianti, che dovevano portare le prime truppe in territorio francese, i paracadutisti esploratori. Questi, aiutati anche dai partigiani avvertiti da Radio Londra, iniziarono azioni di sabotaggio per facilitare gli sbarchi e far saltare le vie di comunicazione e telefoniche. Le zone di atterraggio erano due, posizionate ai due lati degli sbarchi, ma ci fu molta imprecisione nella localizzazione delle aree preposte a causa della nebbia. La prima, intorno alla cittadina di Ste-Mère Eglise era l’obbiettivo delle due divisioni di fanteria aviotrasportata statunitense: la 101^, comandata dal generale Taylor, che l’8 settembre sarebbe dovuta atterrare a Roma, e l’82 . La seconda invece era nei pressi di Caen. Qui i 5.000 uomini della 1^ e della 6^ divisone britannica avevano anche il compito di mantenere in piedi il “Pegasus Bridge”, nodo vitale per l’avanzata. Le operazioni di atterraggio, avvenute poco dopo la mezzanotte, risultarono molto difficoltose, l’antiaerea e le mitragliatrici falciarono ancora in cielo i paracadutisti; quelli che raggiunsero terra risultarono impantanati in vaste zone allagate di proposito da Rommel. Per deviare le difese del Reich, vennero però paracadutati anche pupazzi di gomma (denominati Rupert), che esplodevano al contatto con il suolo.

 

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Orrore sulle spiagge

Intanto, mentre i combattimenti a terra già avevano avuto inizio, i mezzi navali avanzavano dal mare, protetti dalla nebbia che ne impediva la vista ai tedeschi. Solo alle ore 5:20, quando la foschia si era  leg­germente diradata, il maggiore Werner Pluskat dell’artiglieria costiera si accorse con stupore della presenza delle flotta, che avanzava. Venne dato, quindi, l’allarme nettamente in ritardo. La sorpresa era tanta perché i radar non avevano funzionato. Intanto dalle navi iniziava il primo cannoneggiamento per la riduzione delle difese del Vallo. Anche 9.000 aerei alleati furono impegnati in questa impresa, ma la poca visibilità provocò bombardamenti imprecisi. Come risposta, a dare battaglia nei cieli non vi erano che meno di 200 aerei della Luftwaffe, perlopiù con poco carburante. Il grosso della flotta aerea era stata infatti spostata da Göring presso Calais, luogo ancora ritenuto più probabile per uno sbarco.

Le truppe alleate passarono quindi dalle navi ai trasporti, che con non poche difficoltà raggiunsero la riva. Il mare era agitato, i tiri dell’artiglieria vicini, le mine disposte dappertutto, sia nei fondali marini sia sulla battigia, sia sulla spiaggia vera e propria.

La costa normanna, lunga quasi 40 km era stata divisa dal comando alleato in cinque spiagge da Ovest a Est: Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword. Le prime due erano di competenza degli Stati Uniti, le altre erano affidate ai britannici, ai canadesi e ai reparti della Francia Libera. Alle 6:30, ora H, iniziò con consistenza l’arrivo delle truppe a Utah e a Omaha. Quest’ultima, denominata poi la «spiaggia assassina», risultò luogo di una carneficina sia per gli Alleati che per i tedeschi, su cui stavano piovendo oltre 13.000 bombe.

Tra gli invasori la situazione non era certo più confortante. Gli uomini non avevano il tempo di mettere piede sulla battigia, che già cadevano morti, colpiti da raffiche a ripetizione e continue esplosioni. Intanto i genieri cercavano con insistenza di disinnescare le mine e di creare varchi lungo la riva. La prima ondata fu di 3.000 soldati, ben pochi si salvarono. Alle ore 7:00 arrivò la seconda ondata, che però restò sempre bloccata dagli ostacoli semisommersi e dalle mine. Per risolvere la situazione alcuni reparti di ranger tentarono di impossessarsi del Point du Hoc, punta che dominava le spiagge statunitensi. La salita appariva ardua, ma con l’impiego di rampini e scale di corda il grosso raggiunge la vetta, dove si impossessò delle postazioni, guadagnate al nemico con bombe a mano e colpi di baionetta.

Alle 7:30 iniziò il flusso anche sulle spiagge britanniche, ma tra la spiaggia e le case in riva al mare, dove si nascondevano i cecchini, iniziò uno scontro micidiale. L’avanzata appariva veloce. Intanto von Rundstedt non riesciva a dominare la situazione. Per questo chiamò a Berchtesgaden il generale Alfred Jodl, affinché intervenisse presso il Führer per far ordinare alle truppe corazzate della Panzer SS di raggiungere il mare. Dalla Germania però non si ebbero riscontri. Nella logica di Berlino la Normandia non poteva essere che un ottimo diversivo, mai l’obiettivo principale per un accademico come Eisenhower.

Intanto Rommel, avvertito dell’accaduto alle ore 10:00, partì subito alla volta della Normandia, rammaricato quanto consapevole del suo errore. Alle ore 14:00 Hitler venne informato della vera gravità della situazione. La sua collera si indirizzò verso i suoi sottoposti, che comunque anche con l’intervento della 7^ e della 15^ divisione corazzata ormai non potevano più certo ributtare a mare gli Alleati.

Mentre all’interno i combattimenti si presentavano acerrimi, al centro della costa normanna, già dal primo giorno, venne allestito un porto artificiale. Vennero impiegate vecchie navi e materiale prefabbricato per l’uso in Gran Bretagna. In poche ore ad Arromanches venne inaugurato il porto “Winston”, da subito nodo cruciale per i rifornimenti di materiale e l’approdo di nuove milizie. In meno di un mese la battaglia di Normandia si concluse e le truppe alleate avanzarono con ve­locità. Patton di nuovo messo a capo di una vera Armata, dimostrò ancora una volta la tua tecnica, forse brutale ma di sicuro efficace: liberò Rennes, Nantes, Orléans, ormai diretto a gran velocità verso la Germania.

 

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«Feriscono il mio cuore con monotono languore»

In Germania il morale precipita vertiginosamente, il ministro Göbbels cercava in tutti i modi di sollevare la situazione. Oramai molti generali tedeschi avevano l’intenzione di eliminare Hitler, di formare una repubblica con a capo Rommel e di firmare la pace con gli Alleati.

Il 20 luglio alle ore 12:42 presso la Wolfsschanze (la luna del lupo), il quartier generale del Führer a Rastenburg nella Prussia Orientale, vi fu una terribile deflagrazione. Il dittatore rimase incolume, in quanto la riunione dove si stava svolgendo l’attentato si svolse in una costruzione di legno e non dove era previsto in un bunker, che avrebbe seppellito tutti gli occupanti. Dopo approfondite inchieste, l’accusa ricadde sul giovane colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, mutilato di guerra, appoggiato, direttamente e non, da alti esponenti della Wermacht, per l’operazione denominata «Walkiria». Da Roma partì subito Mussolini per compli­mentarsi con l’alleato, che gridava intanto vendetta. Essa sarebbe stata spietata. In pochi mesi quasi tutti i responsabili messi con le spalle al muro e fatti confessare. Furono scoperti come membri del complotto anche l’ammiraglio Wilhelm Canaris e lo stesso Rommel. A quest’ultimo venne concessa una scelta: una pillola di cianuro e funerali di Stato o un processo lungo e disonorevole per lui e per la nazione, con relativa ritorsione sulla sua famiglia. La scelta del feldmaresciallo ricadde per la prima ipotesi. Morirà il 14 ottobre 1944.

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Paris brûle-t-il?

In Francia l’avanzata continuava senza sosta, le truppe di Patton il 16 agosto annientavano gli ultimi ostacoli nell’Ile de France aprendo la via di Parigi. La capitale, però era ancora fortemente difesa, i partigiani insorsero il 19 agosto e per 5 giorni combatterono nelle strade contro i cecchini nazisti, che sparavano sulla folla. Da Berlino partì l’ordine di bruciare e distruggere le tradizioni storiche della città, prima dell’imminente ripiegamento, ma il generale Dietrich Von Choltitz rinunciò a questa infamante impresa e mantenne intatti tutti gli edifici e i ponti sulla Senna. Le Armate di Patton e di Bradley cavallerescamente si fermarono nei sobborghi Sud della città e concessero l’onore di liberare la capitale, al manipolo della Francia Libera, comandato dal generale Léclerc.

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